10.27.2012

L'Inferno di Dante: il Canto V (parte III)

Edward Charles Hallé - Francesca da Rimini
Testo (vv.88-142)

“O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?".
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?.
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.




Mosè Bianchi - Paolo e Francesca (1877)
Acquarello e oro su carta. 64,5x85,5 cm.
Milano, Galleria civica d'Arte Moderna.
“O animal … ci tace”: «O uomo cortese e benevolo che vai visitando per l’aria persiana noi che con il nostro sangue tingemmo la terra, se Dio fosse nostro amico lo pregheremmo per te di darti pace e tranquillità perché hai pietà del nostro male perverso. Di quello che ti/vi va di udire e di parlare, noi ascolteremo e parleremo con voi  mentre il vento, come fa, CI TACE”.
Queste sono le prime parole del personaggio ancora ignoto ma focale di tutto il canto, parole che ci permettono di conoscerlo attraverso la sua formazione. Il dannato che sta parlando si rivolge a Dante definendolo uomo pieno di grazia e benigno, rivelando così la cultura cortese di cui è intriso.
“Persiana” e “sanguigno” sono due termini tecnici della tintura dei tessuti: il primo sta ad indicare un colore tra il nero e il purpureo; il secondo è invece un colore scuro, un rosso molto intenso. Tale colore è inoltre un’iperbole di questo peccato: è come se la loro morte avesse insanguinato il mondo. Vi è infatti una piena coscienza del peccato e della vastità del male anche da parte del dannato stesso: egli, con un’ipotetica dell’irrealtà, non rivolge a Dante una mera captatio benevolentiae, ma dimostra di conoscere perfettamente la sua condizione e di avere anche grandi spessore e altezza. È infatti un personaggio che, pur essendo dannato e pur sapendo che Dio non accoglierà la sua richiesta, non risparmia la preghiera per il suo interlocutore.
La “pace” è aliena alla loro vita e alla loro realtà attuale, è l’altro da sé, è l’irraggiungibile: quindi questo dannato augura a Dante un bene che per sé non ha.
La “pietà”: è semanticamente decisiva perché il dannato ci dice che pregherebbe per Dante perché lui ha avuto compassionevole comprensione del loro male. Dunque la pietà è un sentimento di comprensione umana per la situazione dei due dannati.
Problematica per questo passo è l’interpretazione di quel “ci tace” che può essere inteso in quattro modi differenti: 1. Qui tace; 2. Per noi tace; 3. Si tace – cessa per favorire il loro colloquio; 4. Ci tace – perché ascoltino con maggior silenzio e attenzione.
Inizia ora l’autobiografia in quattro terzine del personaggio principale in cui comunque non rivelerà ancora il suo nome (anche se non sappiamo già che si tratta di Francesca da Rimini).
“Siede la terra … fuor porte”:
PRIMA TERZINA: “Questa è la terra/la città dove sono nata, nella quale i due rami del Po confluiscono in mare” (immagine fortemente calcata e simbolica: il Po che vuole avere pace e può trovarla solo nel mare dell’essere).
Questa perifrasi serve ad indicare che è nata a Ravenna. Ma dopo questo momento di alta poesia autobiografica, la vita di Francesca è un vuoto: sembra quasi non esistere più dalla nascita fino alla “ricomparsa” a seguito dell’amore; sembra indicare solo tre fasi essenziali della sua vita: sono nata, ho amato, sono morta.
SECONDA TERZINA: Inizia qui l’anafora della parola “amor”. È un’anafora ideologica che non ha nulla di retorico ed è forse la più celebre della letteratura italiana: è la donna cavalcantiana acculturata che comincia queste strofe con citazioni di Guinizzelli e di Dante stesso. Francesca è una letterata e cita il dato ideologico fondamentale dello stilnovismo: il cuore nobile non può stare senza amore ed esso, l’amore, non può stare senza aderire al cuore nobile. Dante, attraverso Francesca, attua la condanna del se stesso giovane, della sua poesia e di quella dell’amico Guido Cavalcanti (anche lui inserito nell’Inferno e citato più avanti, nel Canto X).
“Amore, che al cuore nobile fa presa rapidamente, fece innamorare del bel corpo che mi fu tolto. E il modo ancor m’offende”.
Quindi che tipo di amore è? L’uomo si innamora del corpo, non delle virtù morali o dell’intelligenza. È desiderio della persona fisica, amore corporale di cui tra l’altro Francesca è pienamente cosciente ora come lo era in vita quando lo accettò. Nelle sue parole c’è una sfumatura di rimpianto: non per aver accettato questo tipo di amore, ma per aver perso il bel corpo di cui Paolo si era innamorato. Ed è proprio questo aspetto dell’amore che viene condannato: la fisicità.
L’espressione “il modo ancora m’offende” è stata sottoposta ad annose questioni da parte della critica. Si potrebbe riferire “il modo” alla “bella persona” e le interpretazioni possibili sarebbero due: 1. Il modo in cui la bella persona mi fu tolta ancora mi offende perché sono stata uccisa brutalmente; 2. Ci ha ucciso all’improvviso e quindi non ci siamo potuti pentire e quel tipo di uccisione continua a farmi del male perché mi ha confinato all’Inferno.
Altrimenti “il modo” si potrebbe riferire al “prese costui” ottenendo così un terzo risultato: Tale fu l’intensità dell’amore che ancora mi percuote, tanto intenso da accrescere la mia punizione – continuando ancora adesso ad amarlo accresco la mia pena.
L’interpretazione forse più plausibile è la terza, che spiegherebbe anche come mai vengono trasportati insieme e apparentemente in modo più veloce rispetto agli altri.
TERZA TERZINA:Chi è amato non può fare a meno di riamare e l’amore mi catturò per il bell’aspetto di costui (Paolo) in modo così forte che, come vedi, ancora non mi abbandona”.
Le parole di Francesca sono riprese non dallo Stilnovo ma dalla trattatistica erotica, in particolare dal De Amore di Andrea Cappellano. Ecco perché Gianfranco Contini definirà Francesca una “lettrice di provincia”.
“Non perdona” viene dal latino PARCERE: la sua forza è tale che costringe a riamare.
Il “piacer” è la bellezza fisica, quindi non solo Francesca ha accettato l’amore fisico di Paolo ma lo ricambia con la stessa intensità a sua volta.
Il verso 100 corrisponde perfettamente al v.103: sono due sentenze teorico-letterarie.
Il verso 101 corrisponde invece al v.104 con anafora del verbo “prese” – “mi prese”, sono infatti perfettamente paralleli.
Probabilmente, anche il v.102 e il v.105 sono speculari e la loro specularità consisterebbe nel fatto che entrambi esprimono come l’amore fisico non abbandona né Paolo né Francesca (motivo in più per dare credito alla terza opzione interpretativa del v.102).
QUARTA TERZINA: “Amore condusse noi ad una morte uguale e comune. Chi ci uccise è atteso in Caina, nel fondo dell’Inferno». Queste parole da LORO ci furono riferite”.
Finite le citazioni letterarie, la terza sentenza di Francesca è tratta dalla vita, non dall’amore letterario: è ciò che li ha condotti ad una morte e ad una pena infernale uguali e comuni (morte fisica e dannazione eterna).
Giangiotto, il marito di Francesca e assassino dei due amanti, è atteso tra i traditori dei parenti. Il fatto che Francesca dia una tale informazione su come è morta permetterà poi a Dante di riconoscerla, perciò quando dopo le si rivolgerà, la chiamerà per nome rendendolo così noto anche al lettore.
Dante scrive “da lor ci fuor porte”. Eppure Paolo, durante tutta la scena, non parla mai.
Gaetano Previati - Paolo e Francesca (1887)
Olio su tela. 98x227 cm.
Bergamo, Accademia Carrara.
Quand’io intesi … passo!”: “Quando io intesi il senso delle parole di quelle anime così OFFENSE, abbassai lo sguardo, e tanto lo tenni così basso che Virgilio mi disse «Che pensi?». Quando risposi, dissi: «Ahimè! Quanti pensieri dolci, quanto desiderio e quanta nobiltà d’animo iniziale portò loro al doloroso passo/gesto (ovvero: il passaggio dal bene al male, dalla vita alla morte, in tutte le sue conseguenze)!»”.
“Offense” significa travagliate. Ma da cosa? 1. Per amore, 2. Per via della dannazione, 3. Per via della morte violenta che subirono.
Virgilio, vedendo lo stato d’animo di Dante, si comporta con lui in modo molto affettuoso, compiendo un gesto tipico del quotidiano: gli chiede “che pense?”.
Poi mi rivolsi … disiri?”: “Poi mi rivolsi a LORO (anche se poi invoca Francesca e non tutti e due) e iniziai a parlare dicendo: «Francesca, le tue sofferenze atroci mi rendono triste e religiosamente pietoso, mi fanno venire da piangere. Ma dimmi: al tempo dell’innamoramento inconsapevole (quando sospirare è dolce anche se non si sa per cosa lo si sta facendo), in che modo amore ha permesso di scoprire i dubbiosi (il timore di non essere corrisposti ma la speranza che invece non sia così. Timore + speranza = dubbio) desideri?».
Il loro è stato un amore che dai sospiri porta ai desideri e Dante avanza la richiesta di conoscere quello che Francesca aveva taciuto per pudore. Nel suo racconto, infatti, mancava il punto decisivo: quello in cui il libero arbitrio ha ceduto al male.
E quella … avante”: “E quella mi rispose: «Non esiste dolore maggiore che ricordarsi di quando eravamo felici mentre siamo infelici; e ciò che io dico lo può ben comprendere la tua guida, Virgilio. Ma se vuoi conoscere l’origine del nostro amore, se hai così tanto desiderio di saperlo, te lo dirò come colui che insieme parla e piange. Leggevamo un giorno per diletto come Amore portò Lancillotto all’amare (ovvero, di come Lancillotto si innamorò), senza alcun sospetto di essere spiati (altrimenti: senza alcun sospetto l’uno dell’altro, cioè senza sapere che si amavano reciprocamente. Per De Sanctis queste sono le parole di una donna che sa di essere colpevole). Quella lettura ci spinse più volte a incrociare gli sguardi (la vita è uguale alla letteratura che stanno leggendo) e impallidì il viso (il viso pallido, chiaro, è, per i medioevali, lampante sintomo d’amore); ma solo un punto fu quello che fece cessare le nostre resistenze all’insorgente passione. Quando leggemmo le labbra desiderate (metonimia) essere baciate da cotanto amante, costui (Paolo) che mai da me sarà diviso mi baciò tutto tremante. Galeotto, cioè tramite per il nostro amore, fu il libro e chi lo scrisse. Quel giorno non leggemmo oltre il libro (o perché Giangiotto li uccise subito o perché si dedicarono ad altre attività)».
Francesca ricomincia con le sue citazioni colte, in questo caso cita la Consolazione alla Filosofia di Boezio.
Da questi versi si può dedurre con sufficiente certezza che l’ “affettuoso grido” del v.87 in realtà non era “affettuoso” ma “desideroso”.
Una differenza fondamentale tra la vita reale (quella di Paolo e Francesca) e la vita letteraria (quella di Ginevra e Lancillotto) sta nel fatto che, mentre Lancillotto bacia il “riso” (immagine tipica della letteratura cortese, nonché metonimia) di Ginevra, Paolo bacia la “bocca” di Francesca (è un esempio di realismo violento: nel passaggio dalla letteratura alla vita c’è il tremore del desiderio). Paolo interviene nella scena e nel racconto solo ora ed interviene con forza.
“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse” è un’espressione che Dante ha travisato dal suo senso e dal suo svolgimento originario: Ginevra aveva baciato Lancillotto e Galeotto ne era stato testimone; Francesca invece incolpa la letteratura e Dante, attraverso le parole della protagonista, condanna tutta la cultura cortese e cavalcantiana.
Mentre che … cade: “Mentre Francesca diceva questo, altro spirito, Paolo, piangeva (questo emistichio allungato dalla dieresi è il punto di significatività più alto mai toccato da un personaggio muto, tra l’altro il più famoso personaggio muto della letteratura italiana); così che per la compassione perdetti i sensi come se stessi morendo. E caddi come cade un corpo morto”.
Frank Dicksee - Paolo e Francesca (1894)


2 commenti:

  1. cara Virna, sono Dario "dhr" Rivarossa, l'autore di "Dante era uno scrittore fantasy". grazie infinite del tuo messaggio, che mi ha fatto un piacere immenso. la mia mail è dario.rivarossa gmail.com

    ciao, grazie ancora!

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