Edward Charles Hallé - Francesca da Rimini |
Testo (vv.88-142)
“O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?".
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?”.
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
“O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?".
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?”.
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Mosè Bianchi - Paolo e Francesca (1877) Acquarello e oro su carta. 64,5x85,5 cm. Milano, Galleria civica d'Arte Moderna. |
“O animal … ci tace”: “«O
uomo cortese e benevolo che
vai visitando per l’aria persiana noi che con il nostro sangue tingemmo la
terra, se Dio fosse nostro amico lo
pregheremmo per te di darti pace e tranquillità perché hai pietà del nostro
male perverso. Di quello che ti/vi va
di udire e di parlare, noi ascolteremo e parleremo con voi mentre il vento, come fa, CI TACE”.
Queste sono le prime parole del personaggio
ancora ignoto ma focale di tutto il canto, parole che ci permettono di conoscerlo
attraverso la sua formazione. Il dannato che sta parlando si rivolge a Dante
definendolo uomo pieno di grazia e benigno, rivelando così la cultura cortese
di cui è intriso.
“Persiana” e “sanguigno”
sono due termini tecnici della tintura dei tessuti: il primo sta ad indicare un
colore tra il nero e il purpureo; il secondo è invece un colore scuro, un rosso
molto intenso. Tale colore è inoltre un’iperbole di questo peccato: è come se
la loro morte avesse insanguinato il mondo. Vi è infatti una piena coscienza
del peccato e della vastità del male anche da parte del dannato stesso: egli,
con un’ipotetica dell’irrealtà, non rivolge a Dante una mera captatio
benevolentiae, ma dimostra di conoscere perfettamente la sua condizione e di
avere anche grandi spessore e altezza. È infatti un personaggio che, pur
essendo dannato e pur sapendo che Dio non accoglierà la sua richiesta, non
risparmia la preghiera per il suo interlocutore.
La “pace”
è aliena alla loro vita e alla loro realtà attuale, è l’altro da sé, è
l’irraggiungibile: quindi questo dannato augura a Dante un bene che per sé non
ha.
La “pietà”:
è semanticamente decisiva perché il dannato ci dice che pregherebbe per Dante
perché lui ha avuto compassionevole comprensione del loro male. Dunque la pietà
è un sentimento di comprensione umana per la situazione dei due dannati.
Problematica per questo passo è l’interpretazione
di quel “ci tace” che può essere inteso
in quattro modi differenti: 1. Qui tace;
2. Per noi tace; 3. Si tace – cessa per favorire il loro
colloquio; 4. Ci tace – perché
ascoltino con maggior silenzio e attenzione.
Inizia ora l’autobiografia in quattro terzine
del personaggio principale in cui comunque non rivelerà ancora il suo nome
(anche se non sappiamo già che si tratta di Francesca da Rimini).
“Siede la terra … fuor porte”:
PRIMA TERZINA: “Questa è la terra/la città dove sono nata, nella quale i due rami del Po confluiscono in mare” (immagine
fortemente calcata e simbolica: il Po che vuole avere pace e può trovarla solo
nel mare dell’essere).
Questa perifrasi serve ad indicare che è nata
a Ravenna. Ma dopo questo momento di alta poesia autobiografica, la vita di
Francesca è un vuoto: sembra quasi non esistere più dalla nascita fino alla “ricomparsa”
a seguito dell’amore; sembra indicare solo tre fasi essenziali della sua vita: sono nata, ho amato, sono morta.
SECONDA TERZINA: Inizia qui l’anafora della
parola “amor”. È un’anafora
ideologica che non ha nulla di retorico ed è forse la più celebre della
letteratura italiana: è la donna cavalcantiana acculturata che comincia queste
strofe con citazioni di Guinizzelli e di Dante stesso. Francesca è una
letterata e cita il dato ideologico fondamentale dello stilnovismo: il cuore
nobile non può stare senza amore ed esso, l’amore, non può stare senza aderire
al cuore nobile. Dante, attraverso Francesca, attua la condanna del se stesso
giovane, della sua poesia e di quella dell’amico Guido Cavalcanti (anche lui
inserito nell’Inferno e citato più avanti, nel Canto X).
“Amore,
che al cuore nobile fa presa rapidamente, fece innamorare del bel corpo che mi
fu tolto. E il
modo ancor m’offende”.
Quindi che tipo di amore è? L’uomo si innamora
del corpo, non delle virtù morali o dell’intelligenza. È desiderio della
persona fisica, amore corporale di cui tra l’altro Francesca è pienamente
cosciente ora come lo era in vita quando lo accettò. Nelle sue parole c’è una sfumatura
di rimpianto: non per aver accettato questo tipo di amore, ma per aver perso il
bel corpo di cui Paolo si era innamorato. Ed è proprio questo aspetto dell’amore
che viene condannato: la fisicità.
L’espressione “il modo ancora m’offende” è stata sottoposta ad annose questioni da
parte della critica. Si potrebbe riferire “il
modo” alla “bella persona” e le
interpretazioni possibili sarebbero due: 1. Il
modo in cui la bella persona mi fu tolta ancora mi offende perché sono stata
uccisa brutalmente; 2. Ci ha ucciso all’improvviso
e quindi non ci siamo potuti pentire e quel tipo di uccisione continua a farmi
del male perché mi ha confinato all’Inferno.
Altrimenti “il
modo” si potrebbe riferire al “prese
costui” ottenendo così un terzo risultato: Tale fu l’intensità dell’amore che ancora mi percuote, tanto intenso da
accrescere la mia punizione – continuando ancora adesso ad amarlo accresco la
mia pena.
L’interpretazione forse più plausibile è la
terza, che spiegherebbe anche come mai vengono trasportati insieme e apparentemente
in modo più veloce rispetto agli altri.
TERZA TERZINA: “Chi è amato non può fare a meno di riamare e l’amore mi catturò per il
bell’aspetto di costui (Paolo) in
modo così forte che, come vedi, ancora non mi abbandona”.
Le parole di Francesca sono riprese non dallo
Stilnovo ma dalla trattatistica erotica, in particolare dal De Amore di Andrea Cappellano. Ecco
perché Gianfranco Contini definirà Francesca una “lettrice di provincia”.
“Non
perdona” viene dal latino PARCERE: la sua forza è tale
che costringe a riamare.
Il “piacer”
è la bellezza fisica, quindi non solo Francesca ha accettato l’amore fisico di
Paolo ma lo ricambia con la stessa intensità a sua volta.
Il verso 100 corrisponde perfettamente al v.103:
sono due sentenze teorico-letterarie.
Il verso 101 corrisponde invece al v.104 con
anafora del verbo “prese” – “mi prese”,
sono infatti perfettamente paralleli.
Probabilmente, anche il v.102 e il v.105 sono
speculari e la loro specularità consisterebbe nel fatto che entrambi esprimono
come l’amore fisico non abbandona né Paolo né Francesca (motivo in più per dare
credito alla terza opzione interpretativa del v.102).
QUARTA TERZINA: “Amore condusse noi ad una morte uguale e comune. Chi ci uccise è atteso in Caina, nel fondo
dell’Inferno». Queste parole da
LORO ci furono riferite”.
Finite le citazioni letterarie, la terza
sentenza di Francesca è tratta dalla vita, non dall’amore letterario: è ciò che
li ha condotti ad una morte e ad una pena infernale uguali e comuni (morte
fisica e dannazione eterna).
Giangiotto, il marito di Francesca e assassino
dei due amanti, è atteso tra i traditori dei parenti. Il fatto che Francesca
dia una tale informazione su come è morta permetterà poi a Dante di
riconoscerla, perciò quando dopo le si rivolgerà, la chiamerà per nome
rendendolo così noto anche al lettore.
Dante scrive “da lor ci fuor porte”. Eppure Paolo, durante tutta la scena, non
parla mai.
Gaetano Previati - Paolo e Francesca (1887) Olio su tela. 98x227 cm. Bergamo, Accademia Carrara. |
Quand’io intesi … passo!”: “Quando io intesi il senso delle parole di quelle anime così OFFENSE, abbassai lo sguardo, e tanto lo tenni così basso
che Virgilio mi disse «Che pensi?». Quando risposi, dissi: «Ahimè! Quanti pensieri dolci, quanto
desiderio e quanta nobiltà d’animo iniziale portò loro al doloroso passo/gesto (ovvero:
il passaggio dal bene al male, dalla vita alla morte, in tutte le sue
conseguenze)!»”.
“Offense”
significa travagliate. Ma da cosa? 1. Per amore, 2. Per via della dannazione,
3. Per via della morte violenta che subirono.
Virgilio, vedendo lo stato d’animo di Dante,
si comporta con lui in modo molto affettuoso, compiendo un gesto tipico del
quotidiano: gli chiede “che pense?”.
Poi mi rivolsi … disiri?”: “Poi mi rivolsi a LORO (anche se poi
invoca Francesca e non tutti e due) e
iniziai a parlare dicendo: «Francesca, le tue
sofferenze atroci mi rendono triste e religiosamente pietoso, mi fanno venire
da piangere. Ma dimmi: al tempo dell’innamoramento inconsapevole
(quando sospirare è dolce anche se non si sa per cosa lo si sta facendo), in che modo amore ha permesso di scoprire i
dubbiosi (il timore di non essere corrisposti ma la speranza che invece non
sia così. Timore + speranza = dubbio) desideri?»”.
Il loro è stato un amore che dai sospiri porta
ai desideri e Dante avanza la richiesta di conoscere quello che Francesca aveva
taciuto per pudore. Nel suo racconto, infatti, mancava il punto decisivo:
quello in cui il libero arbitrio ha ceduto al male.
E quella … avante”: “E quella mi rispose: «Non esiste dolore maggiore che
ricordarsi di quando eravamo felici mentre siamo infelici; e ciò che io dico lo
può ben comprendere la tua guida, Virgilio. Ma se vuoi conoscere l’origine del nostro
amore, se hai così tanto desiderio di saperlo, te lo dirò come colui che
insieme parla e piange. Leggevamo un giorno per diletto come Amore portò
Lancillotto all’amare (ovvero, di come Lancillotto si
innamorò), senza alcun sospetto di essere
spiati (altrimenti: senza alcun
sospetto l’uno dell’altro, cioè senza sapere che si amavano reciprocamente.
Per De Sanctis queste sono le parole di una donna che sa di essere colpevole). Quella lettura ci spinse più volte a
incrociare gli sguardi (la vita è uguale alla letteratura che stanno
leggendo) e impallidì il viso (il
viso pallido, chiaro, è, per i medioevali, lampante sintomo d’amore); ma solo un punto fu quello che fece cessare
le nostre resistenze all’insorgente passione. Quando leggemmo le labbra
desiderate (metonimia) essere baciate
da cotanto amante, costui (Paolo) che
mai da me sarà diviso mi baciò tutto tremante. Galeotto, cioè tramite per il
nostro amore, fu il libro e chi lo scrisse. Quel giorno non leggemmo oltre il libro (o perché Giangiotto li
uccise subito o perché si dedicarono ad altre attività)»”.
Francesca ricomincia con le sue citazioni
colte, in questo caso cita la Consolazione
alla Filosofia di Boezio.
Da questi versi si può dedurre con sufficiente
certezza che l’ “affettuoso grido”
del v.87 in realtà non era “affettuoso”
ma “desideroso”.
Una differenza fondamentale tra la vita reale
(quella di Paolo e Francesca) e la vita letteraria (quella di Ginevra e
Lancillotto) sta nel fatto che, mentre Lancillotto bacia il “riso” (immagine tipica della
letteratura cortese, nonché metonimia) di Ginevra, Paolo bacia la “bocca” di Francesca (è un esempio di realismo
violento: nel passaggio dalla letteratura alla vita c’è il tremore del
desiderio). Paolo interviene nella scena e nel racconto solo ora ed interviene
con forza.
“Galeotto
fu il libro e chi lo scrisse” è un’espressione
che Dante ha travisato dal suo senso e dal suo svolgimento originario: Ginevra aveva baciato
Lancillotto e Galeotto ne era stato testimone; Francesca invece incolpa la
letteratura e Dante, attraverso le parole della protagonista, condanna tutta la
cultura cortese e cavalcantiana.
Mentre che … cade: “Mentre Francesca diceva questo, altro
spirito, Paolo, piangeva (questo emistichio allungato dalla dieresi è il
punto di significatività più alto mai toccato da un personaggio muto, tra l’altro
il più famoso personaggio muto della letteratura italiana); così che per la compassione perdetti i sensi
come se stessi morendo. E caddi come cade un corpo morto”.
Frank Dicksee - Paolo e Francesca (1894) |
cara Virna, sono Dario "dhr" Rivarossa, l'autore di "Dante era uno scrittore fantasy". grazie infinite del tuo messaggio, che mi ha fatto un piacere immenso. la mia mail è dario.rivarossa gmail.com
RispondiEliminaciao, grazie ancora!
Prego e grazie a te! :D
EliminaA presto!