3.28.2013

Memorie di un pomeriggio di pessimo shopping


Come ci hanno sempre ripetuto fin da bambini, in ogni leggenda c’è un fondo di verità.
Eppure, a volte, quando cerco di comprendere se questo fondo si trova anche nel mito della “commessa perfetta”, mi rendo conto del perché molti ritengano improbabile (se non proprio impossibile) l’esistenza di questa creatura. Quasi che sarebbe più facile incontrare il Mostro di Loch Ness (anzi, Nessie per gli amici) lungo il Corso della città e proporgli di prendere un caffè insieme.
Nel corso della mia carriera di shopaholic ne ho incontrate tante di commesse: da quella più svampita a quella convinta di essere l’unica a possedere il faro della conoscenza della Moda, da quella timidissima che non ti si avvicina per paura di far figuracce a quella fin troppo sfacciata che ti insegue per tutto il negozio illustrandoti le meraviglie dei capi che ti vuole rifilare ehm… che sta vendendo.
Ma il tipo di commessa di cui ho più il terrore è questo:


Questo tipo di predatore vive e si sposta in gruppo, all’interno del quale si può sempre individuare la commessa dominante. Tuttavia, il gruppo difficilmente attacca clienti nel pieno delle forze, preferisce invece attendere prede stremate da lunghe giornate o impegni lavorativi, sull’orlo di una crisi di nervi o a un passo dalla catatonia. Una volta individuato il bersaglio perfetto, le commesse lo accerchiano e si spartiscono equamente i compiti: alcune cercano di sfiancare definitivamente la vittima con commenti legati al tipo di look che sfoggia o a quello che vorrebbe trovare lì da loro, altre cercano di confonderla con richieste fin troppo specifiche e altre ancora vanno a preparare coltello e forchetta – ovvero abiti che devono pur vendere a qualcuno ma che non hanno nulla a che vedere con le suddette richieste della cliente. Se la preda individuata delle commesse mostra segni d’indecisione, queste ultime ci si scagliano in picchiata, pronte a scarnificare la carcassa della volontà indipendente della cliente, alla quale non resta altro da fare che soccombere riprovando abiti che non la convincono e perfino acquistandone uno o più.

Ebbene, a me è da poco capitato un incontro ravvicinato proprio con queste creature in un negozio della mia zona. Ma andiamo con ordine.

3.24.2013

La mia prima esperienza di Cake Design con Thun e "La Casa delle Cuoche"



Un paio d’anni fa, dopo aver visto l’ennesima torta-scultura mastodontica di Buddy, il Boss delle Torte, mi sono detta: perché non provarci? In fondo era Natale e in quel periodo dell’anno si trova di tutto, specialmente per fare dolci!
Armata di computer e buona volontà, ho iniziato la mia ricerca su internet per individuare la più affidabile tra le tantissime ricette per la pasta di zucchero. Ne ho trovata quasi subito una che mi sembrava davvero ottima, l’ho scaricata e stampata.  Gli ingredienti erano pochissimi e tutti di uso comune. Tutti tranne uno: il glucosio.
Dalle reminiscenze della chimica fatta al liceo sapevo che era zucchero, quindi non ci ho pensato due volte: mi sono fiondata al supermercato più vicino e ne ho chiesto un barattolo al primo commesso che ho incrociato.
“Cosa scusa?”
“Glucosio”.
“Ma non credo che esista[1], forse volevi dire fruttosio”.
“No no, cercavo proprio il glucosio!”
“Allora no, mi dispiace. Ma sei sicura che non sia fruttosio, eh?”
-.-
Nulla di fatto, insomma. Ma non mi sono certo lasciata abbattere e ho continuato la mia caccia al glucosio. Peccato però che la scena si sia ripetuta sempre uguale in almeno altri 3 supermercati e l’idea di andarlo a prendere in farmacia (ehm… l’ho scoperto solo ieri che il glucosio si vende anche in farmacia ^^’) non mi fosse passata neanche per l’anticamera del cervello.
Ero sul punto di rinunciare quando ho avuto un’ultima illuminazione. O la va o la spacca. Quando sono arrivata al negozio e la ragazza addetta al settore dolci mi ha detto “Glucosio? Certo! Quanto te ne serve?” volevo abbracciarla!
Tiro fuori un foglietto mezzo spiegazzato da una delle immense tasche della borsa, leggo la lista degli ingredienti e, con l’aria di chi dopo giorni nel deserto potrà finalmente gustare un sorso d’acqua purissima, le dico “50 grammi”.
La vedo perplessa, quasi in difficoltà. Ma il mio entusiasmo è tanto che non basta l’espressione di dubbio sul viso di una commessa per abbatterlo!
“Beh, ecco, noi lo vendiamo in fustini”.
“Ok, bene” – le dico io, convinta che i fustini fossero come quelli dei frutti di bosco, da massimo 500 grammi.
“Ehm… Il più piccolo pesa dieci kili”.
“Ah…”
Dieci kili di glucosio sarebbero andati a male prima ancora di aver avuto la possibilità di impiegarne 200 grammi. A quel punto non potevo far altro che rinunciare.

Una foto che ho fatto all'allestimento prima che iniziasse il laboratorio e postata sulla mia pagina facebook.

Dopo quella ricerca infruttuosa ho deciso di lasciar proprio perdere e dedicarmi a dolci un po’ meno artistici ma almeno altrettanto buoni. Però poi, quando le commesse della Thun di Collestrada mi hanno proposto di prendere parte ad un laboratorio con una Cake Designer per ricreare i classici coniglietti dell’azienda in pasta di zucchero, la mia curiosità ha avuto il sopravvento: va bene che non m’era riuscito di comprare il glucosio, ma almeno dovevo fare una prova e toccarla (letteralmente) con mano! Quindi ho accettato.
L’incontro era fissato per ieri pomeriggio alle 16.30 e la nostra insegnante era Laura Colaiacovo, insegnante dalle molteplici esperienze in campo culinario, attualmente impegnata anche in un progetto televisivo: "La Casa delle Cuoche".
L’obiettivo: ricreare un coniglietto che avesse almeno le vaghe sembianze di un coniglietto!


Laura ci ha spiegato come fare la pasta di zucchero (e – cosa più importante per me – come usare la stramaledettissima colla di pesce), dandoci anche una dimostrazione “live”.
Poi ci ha detto di iniziare a lavorare i nostri panetti per renderli il più morbidi possibile mentre lei ci mostrava come modellare un coniglietto ispirato a quello della Thun.
Beh, io ho seguito le istruzioni alla lettera, forse un pochino troppo alla lettera: ho iniziato a impastare, impastare, impastare, impastare... Ho impastato talmente tanto che la pasta di zucchero era diventata quasi incandescente e quando l’ho poggiata sul piano di lavoro per fare il corpo sembrava un blob dotato di volontà propria! Io la disponevo a forma di cilindro per poter poi modellare le zampette e lei scivolava sempre di più, si appiattiva in cima e si allargava sul fondo. Insomma, il primo dei miei due coniglietti è venuto davvero culone, invece per la seconda (sì, ho fatto una coniglietta con tanto di fiocchetto tra le orecchie) ho lasciato che la pasta di zucchero si stabilizzasse un pochino di più prima di rimetterci mano e infatti sono poi riuscita a modellarla più facilmente.


Per essere la mia prima volta, devo ammettere che pensavo peggio! I coniglietti non erano poi così simili agli originali ma sembravano comunque conigli e già quello è un traguardo. Inoltre devo ammettere che mi sono davvero divertita a modellarli, quasi più della bambina di otto-nove anni che stava lavorando a poca distanza da me!

I miei due coniglietti di pasta di zucchero insieme ad altri coniglietti Thun.







[1] Alla mania di dire “non esiste” al posto della vera risposta (che può variare da “io non lo conosco” o “non ce l’abbiamo in negozio” a “è già finito, quindi cerco di venderti altro”) dovrei forse dedicare un intero post, visto quanto è diffusa tra i negozianti della mia zona. Ma per stavolta lascerò perdere.

3.11.2013

Pasqua 2013 - Expo alla Rocca Paolina: "IL PANE DELL'AMICIZIA"


Periodicamente la Rocca Paolina di Perugia ospita fiere ed eventi di grande rilevanza o comunque estremamente pittoreschi. Per la Pasqua 2013 l’associazione degli artigiani e del libero ingegno, Farefacendo, ha deciso di organizzare una ricchissima expo intitolata “Il Pane dell’amicizia – artigianato e tradizione della Pasqua perugina”. Gli articoli che verranno esposti in fiera sono frutto di produzioni enogastronomiche di qualità, dei mestieri d’arte, della creatività e dell’artigianato. E se parliamo di creatività c’è solo una persona che non dovrebbe mai mancare: Serena Bifolchi, l’ideatrice del marchio “Il Pizzo Cotto”.
Dal 29 Marzo al 1 Aprile 2013, infatti, Serena vi aspetta alla postazione 55 (proprio all'altezza del quadrivio, a lato della gradinata subito dopo la scala mobile) con tantissime novità e idee regalo per voi e per i vostri cari!




Ecco la pianta con tutte le postazioni numerate. Per ingrandirla, basta cliccarci sopra. Cercate il numero 55!

Serena non sarà sola, troverete infatti anche me alla Rocca Paolina durante i giorni dell’expo ed ecco in anteprima alcune immagini di ciò che potrete provare e acquistare alla sua postazione!


La Rocca Paolina


Fondamentale per la Perugia tardo-medievale fu la famiglia Baglioni.
Le prime testimonianze di questa dinastia risalgono al XIII secolo. La loro provenienza è incerta, ma vengono indicati dal Maturanzio e dall'antica tradizione popolare tra le famiglie di origine germanica che scesero in Italia al seguito dell'imperatore Federico I Barbarossa.
Tra il 1438 e il 1479 la famiglia esercitò su Perugia una signoria “occulta”: Braccio Baglioni, sfruttando la posizione di capitano delle milizie della Santa Sede, esercitò sulla città un’influenza che ne sancì presto la supremazia. In quegli anni Perugia visse un periodo di florida crescita e i Baglioni attuarono una politica di espansione e abbellimento della città, grazie alla quale furono costruite nuove strade e palazzi. Tra il 1429 ed il 1433 venne anche ampliato il Palazzo dei Priori, vennero costruite nuove chiese e cappelle private, ed il mecenatismo dei Baglioni li portò in contatto con artisti come Piero della Francesca, Pinturicchio e Raffaello. Costruirono inoltre un imponente Palazzo signorile (oggi ne rimane solo la parte inglobata nella Rocca Paolina) come loro residenza privata. Alla morte di Braccio, però, seguì un periodo di lotte interne al casato per la conquista della supremazia, culminato nella sanguinaria conosciuta come le “Nozze Rosse” del 14 Luglio 1500. Per fermare le uccisioni, fu determinante l’intervento della Chiesa, che cercò di intervenire negli affari della famiglia ricorrendo persino a fatti di sangue. Qualche anno dopo Ridolfo Baglioni affrontò il potere della Chiesa cacciando il legato pontificio, ma verrà poi sconfitto dalle milizie papali guidate dal Farnese. Privato dei propri privilegi e dei proprio soldati, Ridolfo dovette abbandonare la città sancendo la fine della signoria perugina. La residenza di Braccio fu abbattuta nel 1540 per far posto alla fortezza costruita da Antonio da Sangallo il Giovane su richiesta del papa Paolo III.


Perugia, nel XV sec., era una città florida e, grazie a un trattato del 1431, poteva comprare il sale da chiunque a un prezzo modico. Quando, all'inizio del 1540, Paolo III impose di acquistare il sale dalle saline pontificie al doppio del suo costo, i cittadini lo lessero come un tentativo per riaffermare la propria autorità sulla città, sul contado e, soprattutto, sull’economia della zona.
L'inasprimento era giustificato, secondo il papato, dalle spese che la sede apostolica doveva sostenere per la lotta contro gli eretici, le sette luterane ed i turchi, ma i perugini la pensavano molto diversamente, perciò tentarono di aggirare il problema eliminando addirittura il sale dalla produzione del pane (ancora oggi infatti una delle qualità di pane più diffuso nel perugino è il cosiddetto “filone sciapo”). Le trattative con le autorità pontificie, invece, non approdando però a nessun accordo
I perugini nominarono allora venticinque cittadini “difensori di giustizia de la città” e li incaricarono di governare ed organizzare la resistenza all'autorità papale. Il compito dei Venticinque si mostrò subito arduo perché era “molto duro il sostentare le guerre con li denari e beni propri e privati”. Mancava inoltre un condottiero a cui affidare la resistenza militare, perciò la scelta ricadde sui Baglioni superstiti. E fu la guerra.
Nella notte del 5 Aprile 1540, la città innalzò un crocifisso ligneo sulla porta della Cattedrale di S. Lorenzo e simbolicamente si pose sotto la sua protezione. I perugini proclamarono che il crocifisso sarebbe stato rimosso solo dopo che avessero ottenuto giustizia ma esso è tutt’ora al suo posto.
L'incontro tra le due parti avvenne il 3 Giugno 1540 nel monastero di Monteluce e si concluse con l'accordo che Ridolfo e le sue truppe avrebbero lasciato la città mentre il Farnese vi avrebbe avuto accesso a condizione di non modificarne lo stato. Il 5 Giugno, però, con l'ingresso di Pier Luigi Farnese, la città perse il dominio sul contado.
Al posto dei Priori vennero eletti venti “Conservatori dell'ecclesiastica obedienza” e Perugia perse definitivamente gli ultimi resti della sua indipendenza.
In un clima di smarrimento e paura avvenne il pentimento della città, che il 25 Giugno inviò presso il Papa venticinque ambasciatori per chiedere il perdono.
Le autorità pontificie intanto si accordarono con l'architetto Antonio da Sangallo il Giovane – appartenente alla scuola bramantesca di Roma – per il progetto di un palazzo fortificato sull'area del Colle Landone.
A seguito di questi sviluppi, la Guerra del Sale assunse nella tradizione il significato di “gloriosa ribellione” della cittadinanza contro il Papa, significato che è andato al di là della reale portata storica degli eventi. La guerra fu senz'altro la causa immediata che portò alla costruzione della Rocca Paolina, ma non la sola. Già dal 1537, infatti, il Papa aveva pensato per la prima volta di edificare sull’area espropriata ai Baglioni un presidio militare, affidandone la progettazione al colonnello Pier Francesco Fiorenzuoli da Viterbo.
Secondo recenti interpretazioni il progetto iniziale, affidato ad Antonio da Sangallo, traduceva negli schemi dell'architettura militare dell'epoca la duplice esigenza di forte e di palazzo fortificato.
I1 progetto definitivo, comunque, prevedeva l'edificazione di due elementi: la rocca vera e propria (che sarebbe sorta a valle, verso le mura di Santa Giuliana) e il palazzo fortificato (che sarebbe sorto sulla sommità del Colle Landone ed avrebbe incorporato le case dei Baglioni).
La scelta era dettata non soltanto dal fatto che in città non c’era luogo più comodo di quello, ma anche per affermare l'autorità pontificia sulla cittadinanza e annientare i Baglioni togliendo “loro il nido, acciocchè per lo innanzi Perugia non si governasse a loro talento”.
Il 28 Giugno 1540 si iniziarono ad abbattere i primi edifici. In agosto poi un provvedimento ordinò la demolizione delle case dei Venticinque ad opera degli stessi abitanti di Perugia.
Tutti dovettero partecipare ai lavori e l’8 Novembre, con una pomposa cerimonia presieduta da Monsignor della Barba, venne posta la prima pietra della Rocca.
Alla fine dell'anno 1541 il Sangallo riteneva quasi compiuta la sua opera (pensava già alla scritta dedicatoria da mettere sul portone del nuovo palazzo fortificato), ma il lavoro subì un netto cambiamento che ne alterò la natura benché le fonti non ne riportino testimonianze chiare.
La costruzione, così, si riorganizzò diversamente sui due nuclei già avviati:
- la parte bassa, quella che doveva essere il forte vero e proprio (per anni si continuerà a chiamare il mastio) diventò la “tenaglia”, con dimensioni molto ridotte e diverse rispetto al progetto originario;
- l’edificio principale assunse una forma quadrangolare con al centro il mastio della fortezza. Le altezze delle mura furono aumentate considerevolmente e molte aree, preservate da Sangallo, vennero ricoperte da robuste volte. Le nove porte d'accesso previste furono chiuse lasciandone una soltanto, lungo la facciata principale. La Porta Marzia venne smontata ed il suo arco rimurato sul bastione di levante.
Nel 1542 Antonio da Sangallo si allontanò dalla città in polemica con quanti avevano alterato la natura del suo progetto. Nel Marzo dello stesso anno giunse a Perugia il nuovo legato pontificio Cardinale di Rimini. Numerosi altri personaggi, soprattutto militari, si alternarono alla guida dei lavori: all'architetto perugino Galeazzo Alessi (1512-1572) fu dato l'incarico di sistemare la parte residenziale, adattando le sale del palazzo di Gentile Baglioni, completando gli appartamenti del castellano e costruendo una loggia.
La realizzazione della struttura, ridisegnata secondo il volere dei progettisti del Papa, determinò perdite sempre più rilevanti di patrimonio architettonico nella città, arrivando anche all'abbattimento dei fabbricati situati nelle aree non direttamente interessate dalla fortezza.
Il deturpamento non finì in breve tempo e lo dimostra il fatto che nel 1543 fu demolita la chiesa di Santa Maria dei Servi e la porta etrusca del Sole. Nel 1545 fu poi ordinato l'abbattimento del campanile di San Domenico poiché ostacolava il tiro dei cannoni di cui la fortezza era dotata, e per evitare che i perugini dalla cima potessero effettuare dei controlli all'interno della rocca. Le mura del campanile erano così solide che in una giornata a malapena ciascun guastatore riusciva a togliere quattro o cinque pietre. I lavori vennero sospesi con la morte del Papa e, da allora, il campanile è rimasto mozzato, con la forma che ancor oggi si può vedere.


Nel corso dei secoli, i perugini tentarono ripetutamente di abbattere quel simbolo così odioso e nel XIX sec. fu avviata una vera e propria demolizione ai danni della Rocca Paolina ma nel 1849, con la restaurazione del governo pontificio, cessarono le demolizioni.
Quando Perugia venne annessa al Regno d’Italia, la fortezza passò dal Governo italiano al Municipio della città. I1 decreto del 15 Ottobre 1860 emanato dal marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, Regio commissario generale straordinario, diceva: “a perpetuo ammaestramento dei Governi che fondano la loro autorità sulla forza e sulla violenza, decreta: la Fortezza è data in libera proprietà al Comune”.
Il 17 dicembre 1860 il Consiglio comunale autorizzò la definitiva demolizione per togliere dinnanzi agli occhi un monumento di cotante ingrate ricordanze, proponendo però che alcuni spazi venissero salvaguardati e destinati a magazzini.
 Per tutto il decennio in città si lavorò alle demolizioni e si discusse sulle ipotesi di risistemazione dell'area, senza raggiungere un risultato definitivo. Nel frattempo la zona veniva lasciata in stato di desolante abbandono. Nel 1867 venne infine approvato un progetto di sistemazione curato da Alessandro Arienti, ingegnere capo comunale.
Nello spazio dell'ex fortezza venne edificato il palazzo del Governo (attuale palazzo della Provincia), furono creati i giardini Carducci e venne autorizzata la costruzione di edifici privati e fu aperta una nuova strada (viale Indipendenza).
Così si chiuse un lungo capitolo della storia urbanistica perugina.
Nel 1931 il Comune di Perugia iniziò il recupero di alcuni spazi interni della Rocca, sotto la direzione dell'architetto Pietro Angelini. I lavori proseguirono a fasi alterne fino a che, nei primi anni ’80, il Comune e la Provincia di Perugia resero agibile quasi tutta parte dei sotterranei della Rocca, con la realizzazione del percorso pedonale meccanizzato e del Centro Espositivo.




La Rocca Paolina nel 1820.



3.09.2013

SHOPPING IN UMBRIA #2: Vintage Room

Nelle foto, uno splendido abito vintage di Lanvin.



Negli ultimi anni il vintage ha preso piede come una delle principali tendenze della Moda e, oggi come oggi, non c’è fashionista degna di tale nome che non possieda almeno un capo d’epoca.
Ognuno di noi avrà la sua epoca del cuore, quella di cui apprezzare lo stile e l’atmosfera, quella su cui fantasticare sfogliando libri di foto o vecchie riviste.
Ma ci sono alcuni aspetti che rimangono invariati a prescindere dal periodo scelto e che verifico sempre, specialmente in negozi di questo genere: la competenza, la cortesia e la passione per il proprio lavoro. E trovare punti vendita di articoli vintage in cui ci siano garanzie riguardo ai prodotti e personale garbato non è così semplice come potrebbe apparire.

Da un paio d’anni sono alla ricerca del perfetto abito anni ’50 (lunghezza midi, stampa vivace, gonna a ruota o a campana e corpetto sagomato), perciò ho contattato diversi store, tra cui alcuni di Firenze. Dopo aver ricevuto varie risposte negative (tra cui una decisamente scortese), ho deciso di cambiare metodo di ricerca. Mi sono affidata a Facebook e la mia attenzione è stata catturata da un negozio di Foligno (la “capitale umbra” dello shopping): *Vintage Room*.

Scarpe Vivienne Westwood.

Ho contattato direttamente Valentina, la proprietaria, rivolgendole le stesse domande che mi erano valse un pessimo trattamento da parte dello store di Firenze. Lei però si è dimostrata gentilissima e pronta a fare il possibile per esaudire i miei desideri. Ovviamente ha subito guadagnato punti ai miei occhi e ha poi vinto il “primo premio” quando sono andata lì di persona.
*Vintage Room*, situato in una traversa del corso principale di Foligno, non è gigantesco (benché si articoli su due piani diversi), ma è strapieno di articoli degni di nota: abiti di ogni genere e taglia che possono essere sia acquistati che affittati, scarpe da collezione (tra cui uno splendido paio di Vivienne Westwood), borse in ottima pelle e fantastici accessori. Le varie epoche si mescolano in un caleidoscopio di colori accattivanti e tra le relle si celano veri e propri tesori della sartoria italiana e internazionale, capi di designer famosi a livello mondiale e pezzi iconici. Ogni angolo del locale racchiude elementi di grande pregio e bellezza, simboli di intere generazioni pronti a vivere di nuova vita. Insomma, non potevo non dedicare a *Vintage Room* un post nella rubrica “Shopping in Umbria”!
Come Mara e Ilaria, anche Valentina si è dimostrata entusiasta all’idea di mettermi a disposizione il negozio e tutti i suoi capi. E dopo aver convinto Giovanna a posare di nuovo per il mio blog, Lucia (la mia fotografa di fiducia) s’è armata di reflex, io di trucchi, spazzole e spilli. Ci siamo dirette a Foligno e abbiamo passato un intero pomeriggio a scegliere combinazioni di capi e acconciature, a creare set più o meno artistici (spostando tutto il mobilio del negozio – grazie a Valentina per la pazienza!) e a scattare una gran quantità di foto.

Purtroppo ho dovuto fare una profonda cernita tra le diverse centinaia di scatti – mi piacevano quasi tutti ma erano davvero troppi per un solo post. Ho quindi ridotto il numero ad una trentina di foto, anche se due immagini “extra” le avevo già pubblicate sulla mia pagina facebook come anteprima (potete vederle qui e qui).
Detto questo, non mi resta che lasciarvi alla visione dei frutti del nostro lavoro e invitarvi caldamente a fare un salto da *Vintage Room*, non ve ne pentirete!


Nel quadro in basso, un paio di guanti dell'Ottocento.
Giovanna indossa dei bellissimi sandali Miu Miu.
Borsa, Fendi.
Completo (gonna + gilet) in broccato, Luisa Spagnoli.
Miniabito (molto mini) a scacchi con dettagli in ecopelle, Betsey.
 
Uno straordinario tailleur color menta di Thierry Mugler.
La giacca ha uno stupendo taglio asimmetrico e aperture sotto le braccia.
Tubino interamente ricoperto di paillettes. La taglia era enorme per Giovanna ma con un "piccolo" espediente siamo riuscite a farlo stare su!
Bellissima la giacca in velluto nero di Guy Laroche.

*Vintage Room*: Via Mazzini 38 (Foligno). Tel. 0742 352008
Fotografa: Lucia Locchi.
Styling, mak-up e capelli: Virna Gambini.
Modella: Giovanna.

Quest'ultima foto in realtà l'ho scattata io e mi piace davvero tanto ^^ 



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