3.11.2013

Pasqua 2013 - Expo alla Rocca Paolina: "IL PANE DELL'AMICIZIA"


Periodicamente la Rocca Paolina di Perugia ospita fiere ed eventi di grande rilevanza o comunque estremamente pittoreschi. Per la Pasqua 2013 l’associazione degli artigiani e del libero ingegno, Farefacendo, ha deciso di organizzare una ricchissima expo intitolata “Il Pane dell’amicizia – artigianato e tradizione della Pasqua perugina”. Gli articoli che verranno esposti in fiera sono frutto di produzioni enogastronomiche di qualità, dei mestieri d’arte, della creatività e dell’artigianato. E se parliamo di creatività c’è solo una persona che non dovrebbe mai mancare: Serena Bifolchi, l’ideatrice del marchio “Il Pizzo Cotto”.
Dal 29 Marzo al 1 Aprile 2013, infatti, Serena vi aspetta alla postazione 55 (proprio all'altezza del quadrivio, a lato della gradinata subito dopo la scala mobile) con tantissime novità e idee regalo per voi e per i vostri cari!




Ecco la pianta con tutte le postazioni numerate. Per ingrandirla, basta cliccarci sopra. Cercate il numero 55!

Serena non sarà sola, troverete infatti anche me alla Rocca Paolina durante i giorni dell’expo ed ecco in anteprima alcune immagini di ciò che potrete provare e acquistare alla sua postazione!


La Rocca Paolina


Fondamentale per la Perugia tardo-medievale fu la famiglia Baglioni.
Le prime testimonianze di questa dinastia risalgono al XIII secolo. La loro provenienza è incerta, ma vengono indicati dal Maturanzio e dall'antica tradizione popolare tra le famiglie di origine germanica che scesero in Italia al seguito dell'imperatore Federico I Barbarossa.
Tra il 1438 e il 1479 la famiglia esercitò su Perugia una signoria “occulta”: Braccio Baglioni, sfruttando la posizione di capitano delle milizie della Santa Sede, esercitò sulla città un’influenza che ne sancì presto la supremazia. In quegli anni Perugia visse un periodo di florida crescita e i Baglioni attuarono una politica di espansione e abbellimento della città, grazie alla quale furono costruite nuove strade e palazzi. Tra il 1429 ed il 1433 venne anche ampliato il Palazzo dei Priori, vennero costruite nuove chiese e cappelle private, ed il mecenatismo dei Baglioni li portò in contatto con artisti come Piero della Francesca, Pinturicchio e Raffaello. Costruirono inoltre un imponente Palazzo signorile (oggi ne rimane solo la parte inglobata nella Rocca Paolina) come loro residenza privata. Alla morte di Braccio, però, seguì un periodo di lotte interne al casato per la conquista della supremazia, culminato nella sanguinaria conosciuta come le “Nozze Rosse” del 14 Luglio 1500. Per fermare le uccisioni, fu determinante l’intervento della Chiesa, che cercò di intervenire negli affari della famiglia ricorrendo persino a fatti di sangue. Qualche anno dopo Ridolfo Baglioni affrontò il potere della Chiesa cacciando il legato pontificio, ma verrà poi sconfitto dalle milizie papali guidate dal Farnese. Privato dei propri privilegi e dei proprio soldati, Ridolfo dovette abbandonare la città sancendo la fine della signoria perugina. La residenza di Braccio fu abbattuta nel 1540 per far posto alla fortezza costruita da Antonio da Sangallo il Giovane su richiesta del papa Paolo III.


Perugia, nel XV sec., era una città florida e, grazie a un trattato del 1431, poteva comprare il sale da chiunque a un prezzo modico. Quando, all'inizio del 1540, Paolo III impose di acquistare il sale dalle saline pontificie al doppio del suo costo, i cittadini lo lessero come un tentativo per riaffermare la propria autorità sulla città, sul contado e, soprattutto, sull’economia della zona.
L'inasprimento era giustificato, secondo il papato, dalle spese che la sede apostolica doveva sostenere per la lotta contro gli eretici, le sette luterane ed i turchi, ma i perugini la pensavano molto diversamente, perciò tentarono di aggirare il problema eliminando addirittura il sale dalla produzione del pane (ancora oggi infatti una delle qualità di pane più diffuso nel perugino è il cosiddetto “filone sciapo”). Le trattative con le autorità pontificie, invece, non approdando però a nessun accordo
I perugini nominarono allora venticinque cittadini “difensori di giustizia de la città” e li incaricarono di governare ed organizzare la resistenza all'autorità papale. Il compito dei Venticinque si mostrò subito arduo perché era “molto duro il sostentare le guerre con li denari e beni propri e privati”. Mancava inoltre un condottiero a cui affidare la resistenza militare, perciò la scelta ricadde sui Baglioni superstiti. E fu la guerra.
Nella notte del 5 Aprile 1540, la città innalzò un crocifisso ligneo sulla porta della Cattedrale di S. Lorenzo e simbolicamente si pose sotto la sua protezione. I perugini proclamarono che il crocifisso sarebbe stato rimosso solo dopo che avessero ottenuto giustizia ma esso è tutt’ora al suo posto.
L'incontro tra le due parti avvenne il 3 Giugno 1540 nel monastero di Monteluce e si concluse con l'accordo che Ridolfo e le sue truppe avrebbero lasciato la città mentre il Farnese vi avrebbe avuto accesso a condizione di non modificarne lo stato. Il 5 Giugno, però, con l'ingresso di Pier Luigi Farnese, la città perse il dominio sul contado.
Al posto dei Priori vennero eletti venti “Conservatori dell'ecclesiastica obedienza” e Perugia perse definitivamente gli ultimi resti della sua indipendenza.
In un clima di smarrimento e paura avvenne il pentimento della città, che il 25 Giugno inviò presso il Papa venticinque ambasciatori per chiedere il perdono.
Le autorità pontificie intanto si accordarono con l'architetto Antonio da Sangallo il Giovane – appartenente alla scuola bramantesca di Roma – per il progetto di un palazzo fortificato sull'area del Colle Landone.
A seguito di questi sviluppi, la Guerra del Sale assunse nella tradizione il significato di “gloriosa ribellione” della cittadinanza contro il Papa, significato che è andato al di là della reale portata storica degli eventi. La guerra fu senz'altro la causa immediata che portò alla costruzione della Rocca Paolina, ma non la sola. Già dal 1537, infatti, il Papa aveva pensato per la prima volta di edificare sull’area espropriata ai Baglioni un presidio militare, affidandone la progettazione al colonnello Pier Francesco Fiorenzuoli da Viterbo.
Secondo recenti interpretazioni il progetto iniziale, affidato ad Antonio da Sangallo, traduceva negli schemi dell'architettura militare dell'epoca la duplice esigenza di forte e di palazzo fortificato.
I1 progetto definitivo, comunque, prevedeva l'edificazione di due elementi: la rocca vera e propria (che sarebbe sorta a valle, verso le mura di Santa Giuliana) e il palazzo fortificato (che sarebbe sorto sulla sommità del Colle Landone ed avrebbe incorporato le case dei Baglioni).
La scelta era dettata non soltanto dal fatto che in città non c’era luogo più comodo di quello, ma anche per affermare l'autorità pontificia sulla cittadinanza e annientare i Baglioni togliendo “loro il nido, acciocchè per lo innanzi Perugia non si governasse a loro talento”.
Il 28 Giugno 1540 si iniziarono ad abbattere i primi edifici. In agosto poi un provvedimento ordinò la demolizione delle case dei Venticinque ad opera degli stessi abitanti di Perugia.
Tutti dovettero partecipare ai lavori e l’8 Novembre, con una pomposa cerimonia presieduta da Monsignor della Barba, venne posta la prima pietra della Rocca.
Alla fine dell'anno 1541 il Sangallo riteneva quasi compiuta la sua opera (pensava già alla scritta dedicatoria da mettere sul portone del nuovo palazzo fortificato), ma il lavoro subì un netto cambiamento che ne alterò la natura benché le fonti non ne riportino testimonianze chiare.
La costruzione, così, si riorganizzò diversamente sui due nuclei già avviati:
- la parte bassa, quella che doveva essere il forte vero e proprio (per anni si continuerà a chiamare il mastio) diventò la “tenaglia”, con dimensioni molto ridotte e diverse rispetto al progetto originario;
- l’edificio principale assunse una forma quadrangolare con al centro il mastio della fortezza. Le altezze delle mura furono aumentate considerevolmente e molte aree, preservate da Sangallo, vennero ricoperte da robuste volte. Le nove porte d'accesso previste furono chiuse lasciandone una soltanto, lungo la facciata principale. La Porta Marzia venne smontata ed il suo arco rimurato sul bastione di levante.
Nel 1542 Antonio da Sangallo si allontanò dalla città in polemica con quanti avevano alterato la natura del suo progetto. Nel Marzo dello stesso anno giunse a Perugia il nuovo legato pontificio Cardinale di Rimini. Numerosi altri personaggi, soprattutto militari, si alternarono alla guida dei lavori: all'architetto perugino Galeazzo Alessi (1512-1572) fu dato l'incarico di sistemare la parte residenziale, adattando le sale del palazzo di Gentile Baglioni, completando gli appartamenti del castellano e costruendo una loggia.
La realizzazione della struttura, ridisegnata secondo il volere dei progettisti del Papa, determinò perdite sempre più rilevanti di patrimonio architettonico nella città, arrivando anche all'abbattimento dei fabbricati situati nelle aree non direttamente interessate dalla fortezza.
Il deturpamento non finì in breve tempo e lo dimostra il fatto che nel 1543 fu demolita la chiesa di Santa Maria dei Servi e la porta etrusca del Sole. Nel 1545 fu poi ordinato l'abbattimento del campanile di San Domenico poiché ostacolava il tiro dei cannoni di cui la fortezza era dotata, e per evitare che i perugini dalla cima potessero effettuare dei controlli all'interno della rocca. Le mura del campanile erano così solide che in una giornata a malapena ciascun guastatore riusciva a togliere quattro o cinque pietre. I lavori vennero sospesi con la morte del Papa e, da allora, il campanile è rimasto mozzato, con la forma che ancor oggi si può vedere.


Nel corso dei secoli, i perugini tentarono ripetutamente di abbattere quel simbolo così odioso e nel XIX sec. fu avviata una vera e propria demolizione ai danni della Rocca Paolina ma nel 1849, con la restaurazione del governo pontificio, cessarono le demolizioni.
Quando Perugia venne annessa al Regno d’Italia, la fortezza passò dal Governo italiano al Municipio della città. I1 decreto del 15 Ottobre 1860 emanato dal marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, Regio commissario generale straordinario, diceva: “a perpetuo ammaestramento dei Governi che fondano la loro autorità sulla forza e sulla violenza, decreta: la Fortezza è data in libera proprietà al Comune”.
Il 17 dicembre 1860 il Consiglio comunale autorizzò la definitiva demolizione per togliere dinnanzi agli occhi un monumento di cotante ingrate ricordanze, proponendo però che alcuni spazi venissero salvaguardati e destinati a magazzini.
 Per tutto il decennio in città si lavorò alle demolizioni e si discusse sulle ipotesi di risistemazione dell'area, senza raggiungere un risultato definitivo. Nel frattempo la zona veniva lasciata in stato di desolante abbandono. Nel 1867 venne infine approvato un progetto di sistemazione curato da Alessandro Arienti, ingegnere capo comunale.
Nello spazio dell'ex fortezza venne edificato il palazzo del Governo (attuale palazzo della Provincia), furono creati i giardini Carducci e venne autorizzata la costruzione di edifici privati e fu aperta una nuova strada (viale Indipendenza).
Così si chiuse un lungo capitolo della storia urbanistica perugina.
Nel 1931 il Comune di Perugia iniziò il recupero di alcuni spazi interni della Rocca, sotto la direzione dell'architetto Pietro Angelini. I lavori proseguirono a fasi alterne fino a che, nei primi anni ’80, il Comune e la Provincia di Perugia resero agibile quasi tutta parte dei sotterranei della Rocca, con la realizzazione del percorso pedonale meccanizzato e del Centro Espositivo.




La Rocca Paolina nel 1820.



3.09.2013

SHOPPING IN UMBRIA #2: Vintage Room

Nelle foto, uno splendido abito vintage di Lanvin.



Negli ultimi anni il vintage ha preso piede come una delle principali tendenze della Moda e, oggi come oggi, non c’è fashionista degna di tale nome che non possieda almeno un capo d’epoca.
Ognuno di noi avrà la sua epoca del cuore, quella di cui apprezzare lo stile e l’atmosfera, quella su cui fantasticare sfogliando libri di foto o vecchie riviste.
Ma ci sono alcuni aspetti che rimangono invariati a prescindere dal periodo scelto e che verifico sempre, specialmente in negozi di questo genere: la competenza, la cortesia e la passione per il proprio lavoro. E trovare punti vendita di articoli vintage in cui ci siano garanzie riguardo ai prodotti e personale garbato non è così semplice come potrebbe apparire.

Da un paio d’anni sono alla ricerca del perfetto abito anni ’50 (lunghezza midi, stampa vivace, gonna a ruota o a campana e corpetto sagomato), perciò ho contattato diversi store, tra cui alcuni di Firenze. Dopo aver ricevuto varie risposte negative (tra cui una decisamente scortese), ho deciso di cambiare metodo di ricerca. Mi sono affidata a Facebook e la mia attenzione è stata catturata da un negozio di Foligno (la “capitale umbra” dello shopping): *Vintage Room*.

Scarpe Vivienne Westwood.

Ho contattato direttamente Valentina, la proprietaria, rivolgendole le stesse domande che mi erano valse un pessimo trattamento da parte dello store di Firenze. Lei però si è dimostrata gentilissima e pronta a fare il possibile per esaudire i miei desideri. Ovviamente ha subito guadagnato punti ai miei occhi e ha poi vinto il “primo premio” quando sono andata lì di persona.
*Vintage Room*, situato in una traversa del corso principale di Foligno, non è gigantesco (benché si articoli su due piani diversi), ma è strapieno di articoli degni di nota: abiti di ogni genere e taglia che possono essere sia acquistati che affittati, scarpe da collezione (tra cui uno splendido paio di Vivienne Westwood), borse in ottima pelle e fantastici accessori. Le varie epoche si mescolano in un caleidoscopio di colori accattivanti e tra le relle si celano veri e propri tesori della sartoria italiana e internazionale, capi di designer famosi a livello mondiale e pezzi iconici. Ogni angolo del locale racchiude elementi di grande pregio e bellezza, simboli di intere generazioni pronti a vivere di nuova vita. Insomma, non potevo non dedicare a *Vintage Room* un post nella rubrica “Shopping in Umbria”!
Come Mara e Ilaria, anche Valentina si è dimostrata entusiasta all’idea di mettermi a disposizione il negozio e tutti i suoi capi. E dopo aver convinto Giovanna a posare di nuovo per il mio blog, Lucia (la mia fotografa di fiducia) s’è armata di reflex, io di trucchi, spazzole e spilli. Ci siamo dirette a Foligno e abbiamo passato un intero pomeriggio a scegliere combinazioni di capi e acconciature, a creare set più o meno artistici (spostando tutto il mobilio del negozio – grazie a Valentina per la pazienza!) e a scattare una gran quantità di foto.

Purtroppo ho dovuto fare una profonda cernita tra le diverse centinaia di scatti – mi piacevano quasi tutti ma erano davvero troppi per un solo post. Ho quindi ridotto il numero ad una trentina di foto, anche se due immagini “extra” le avevo già pubblicate sulla mia pagina facebook come anteprima (potete vederle qui e qui).
Detto questo, non mi resta che lasciarvi alla visione dei frutti del nostro lavoro e invitarvi caldamente a fare un salto da *Vintage Room*, non ve ne pentirete!


Nel quadro in basso, un paio di guanti dell'Ottocento.
Giovanna indossa dei bellissimi sandali Miu Miu.
Borsa, Fendi.
Completo (gonna + gilet) in broccato, Luisa Spagnoli.
Miniabito (molto mini) a scacchi con dettagli in ecopelle, Betsey.
 
Uno straordinario tailleur color menta di Thierry Mugler.
La giacca ha uno stupendo taglio asimmetrico e aperture sotto le braccia.
Tubino interamente ricoperto di paillettes. La taglia era enorme per Giovanna ma con un "piccolo" espediente siamo riuscite a farlo stare su!
Bellissima la giacca in velluto nero di Guy Laroche.

*Vintage Room*: Via Mazzini 38 (Foligno). Tel. 0742 352008
Fotografa: Lucia Locchi.
Styling, mak-up e capelli: Virna Gambini.
Modella: Giovanna.

Quest'ultima foto in realtà l'ho scattata io e mi piace davvero tanto ^^ 



3.07.2013

I mille volti di Natalia Vodianova (by Steven Meisel)

Natalia Vodianova interpreta Dovima sulle pagine di Vogue US (May 2009).

Natalia Vodianova, classe ‘82, è una delle modelle più richieste e pagate degli ultimi 15 anni, forse addirittura la migliore, musa e testimonial di molti dei più celebri designer al mondo – tra cui Valentino Garavani, Stella McCartney, Marc Jacobs, Frida Giannini e Francisco Costa. Il suo viso ha lineamenti decisi e dolci al tempo stesso, inconfondibili ma versatili e camaleontici – come dimostrano perfettamente queste foto, scattate dal genio dell’obiettivo Steven Meisel.
Su sfondi quasi del tutto neutri si stagliano la capacità di interpretare e reinterpretare di Natalia, il suo talento nell’assumere pose canoniche e quello di inventarne di nuove, ancora più dinamiche e artistiche delle precedenti, la giocosità e la freddezza di un volto che potrebbe regalarle qualunque identità lei voglia, la sua bellezza innegabile, discreta ed elegante.
Gli abiti dal sapore vintage eppure assolutamente attuali, i vari make-up più o meno marcati, le acconciature che sembrano quasi causali e l’atteggiamento sempre diverso per ciascuna foto racchiudono, invece, una profonda conoscenza delle figure che hanno contribuito a scrivere la storia della Moda e del Costume guardando negli “occhi” la fotocamera, stimolando la creatività di designer talentuosi e fotografi all’avanguardia tra gli anni ’50 e i ’70.


Natalia Vodianova nei panni di Jean Patchett.
Natalia Vodianova nel ruolo di Jean Shrimpton.
Natalia Vodianova posa come Lauren Hutton.
Marisa Berenson.
Suzy Parker.
Twiggy Lawson.
Penelope Tree.
Un'interpretazione magistrale di Veruschka.


Un tributo sentito, appassionato e doveroso alle donne che hanno regalato alcuni degli scatti più memorabili nella storia della fotografia.

DOVIMA THE GREAT
Foto di Richard Avedon, 1955.

Dorothy Virginia Margaret Juba (New York, 11 Dicembre 1927 – Falls Church, 3 Maggio 1990), in seguito diventata famosa con lo pseudonimo di Dovima , è stata una modella statunitense. Ebbe modo di lavorare con i più celebri fotografi della sua epoca (Richard Rutledge, Irving Penn, Henry Clarke e molti altri) dopo essere stata notata da un editore di Vogue. Successivamente, le fotografie che Richard Avedon le scattò in abito da sera davanti ad alcuni elefanti al Cirque d’Hiver di Parigi fecero il giro del mondo, consacrandola ad un enorme successo. Precorse i tempi e venne considerata non solo la modella più pagata dell’epoca, ma anche la prima “supermodella”. Morì per un epatocarcinoma il 3 maggio 1990. Dopo la sua morte, Richard Avedon disse: “She was the last of the great elegant, aristicratic beauties. The most remarkable and unconventional beauty of her time”.

JEAN PATCHETT
Foto di Erwin Blumenfeld, 1950.

Jean Patchett (Preston, 16 Febbraio 1926 – La Quinta, 22 Gennaio 2002) fu una nota modella americana che, negli anni ’50, apparve sulle copertine di oltre 40 riviste. Le immagini che la resero una vera e propria dea della fotografia furono scattate da Irving Penn e da Erwin Blumenfeld. Quest’ultimo immortalò solo alcuni dettagli del suo viso (l’occhio sinistro, esaltato da una sottile linea di matita nera, le labbra, perfettamente tinte di un rosso corposo, e il neo). La sua carriera si concluse nel 1963.


Jean Patchett (a sinistra) e Dovima (a destra), 1953.

JEAN SHRIMPTON
Foto di David Bailey, 1961.

Jean Rosemary Shrimpton (nata il 7 Novembre 1942) è una modella e attrice inglese. Iniziò la sua carriera a 17 anni, conquistandosi da subito importanti copertine come quelle di Vogue, Harper’s Bazaar e Vanity Fair. Fin da subito venne identificata come modello degli anni ’60 (“the Face of the Sixties”), divenne estremamente popolare, tanto da essere considerata una delle prima supermodelle di quegli anni (“the It Girl”) e contribuì a diffondere la rivoluzione rappresentata dalla minigonna (1965), causando non poco scalpore al Victoria Derby di Melbourne. Grande importanza per la sua carriera la ebbe David Bailey, che per lei non fu soltanto fotografo, ma anche scopritore e amante. La Shrimpton sposò poi nel 1979 il fotografo Michael Cox, dal quale ebbe un figlio.


LAUREN HUTTON
Foto di Richard Avedon.

Lauren Hutton è nata il 17 Novembre 1943. Nel 1960 – quando il suo cognome era ancora Hall – Lauren si trasferì a New York, dove lavorò per il Playboy Club. Successivamente frequentò la Tulane University di New Orleans, laureandosi nel 1964. Quando poi tornò a New York cambiò il suo cognome in Hutton (riprendendo quello del primo marito della madre), divenne una fashion model e ragazza copertina per molte delle più importanti riviste del settore. Nel corso della sua carriera di modella, le fu chiesto di correggere il piccolo difetto del suo sorriso (ovvero un leggero diastema tra gli incisivi) ma Lauren Hutton, convinta che quel dettaglio le desse carattere e unicità, decise di non farlo. La Hutton fu considerata “the fresh American face of fashion” e la sua carriera di modella continuò anche oltre i 40 anni d’età, affiancandosi a quella di attrice (al suo attivo, Lauren ha infatti una vasta filmografia).

MARISA BERENSON
Foto di Bern Stern, 60s.

Marisa Berenson è nata il 15 Febbraio 1947 a New York City. Suo padre era il diplomatico americano  Robert Valvrojenski (poi Berenson), ebreo lituano d’origine, mentre la madre era la contessa Maria Luisa Yvonne Radha de Wendt de Kerlor, meglio conosciuta come Gogo Schiaparelli (figlia della celebre stilista italiana Elsa Schiaparelli). Marisa è anche la pronipote di Giovanni Schiaparelli, un astronomo italiano convinto di aver scoperto i cosiddetti “canali di Marte”. Per quanto riguarda la sua carriera di modella, iniziata nei primi anni ’60, la stessa Marisa ha dichiarato al New York Times: “I once was one of the highest paid models in the world”. Apparve spesso sulle copertine di Vogue e Time, venne soprannominata “the Queen of the Scene” per le sue frequenti partecipazioni ai party e “the girl of the Seventies” da Yves Saint Laurent. Prese parte inoltre al cast di diversi film, tra cui Morte a Venezia di Luchino Visconti e Cabaret di Bob Fosse e con Liza Minnelli.

PENELOPE TREE
Foto di David Bailey, 60s.

Nata il 2 Dicembre 1949, Penelope Tree è stata una celebre modella inglese durante il periodo della Swinging London. La famiglia si oppose alla sua carriera di modella, tanto da minacciare di denuncia Diane Arbus, che per prima fotografò Penelope quando quest’ultima aveva appena 13 anni.
Quando però Penelope Tree partecipò nel 1966 al Black and White Ball di Truman Capote, venne lanciata come icona pop grazie all’abito che indossava: un modello a tunica con scollo a “V” e profondi spacchi che arrivavano fin sotto il seno. Quelli di Cecil Beaton e Richard Avedon sono solo alcuni dei grandi fotografi che desiderarono lavorare con la Tree, facendo di lei una supermodella. David Bailey la descrisse poi come una versione egiziana del Grillo Parlante. Fu spesso associata ai Beatles e quando fu chiesto a John Lennon di indicare tre parole che la rappresentassero, lui rispose: “Hot, hot, hot, smart, smart, smart!”.
La sua carriera purtroppo ebbe termine nei primi anni '70 a causa delle cicatrici che l'acne le lasciò in viso e dell'arresto per possesso di cocaina del 1972.

SUZY PARKER
Foto di Georges Dambier, 1953.

Suzy Parker (28 Ottobre 1932 – 3 Maggio 2003) fu una modella e attrice americana attiva dal 1947 fino agli anni ’60. Il suo vero nome era Cecilia Ann Renee Parker ma al padre, George, non piaceva, perciò decise di cambiarlo in Susie, fino a che un fotografo di Vogue Paris non lo modificò definitivamente in Suzy. La sua carriera di modella – iniziata a 15 anni, quando una sua foto apparve sulla prestigiosa rivista Life – raggiunse l’apice intorno agli anni ’50, fu la prima a guadagnare 100.000 dollari all’anno, l’unica a cui i Beatles dedicarono il titolo di una canzone (benché una canzone unreleased), campeggiò sulle copertine di oltre 70 importanti riveste mondiali e divenne il volto più rappresentativo del brand di Coco Chanel. Grazie alla sorella Dorian Leigh, la Parker ebbe modo di conoscere e stringere amicizia con alcuni dei più celebri fotografi dell’epoca, tra cui Irving Penn, Horst P. Horst, John Rawlings e un giovane Richard Avedon, del quale divenne anche musa. Non a caso, all’età di 61 anni, Suzy dichiarò: The only joy I ever got out of modeling was working with Dick Avedon”.


TWIGGY
Foto di Bert Stern, 1967.

Lesley Hornby (19 Settembre 1949) è stata una modella, attrice e cantante inglese, figura di spicco nella Swinging London insieme a Penelope Tree e Veruschka. Cambiò il suo cognome in Lawson, ma non fu questo il nome con cui raggiunse il successo. Il soprannome “Twiggy” le fu suggerito dalla sua costituzione estremamente minuta e dal nomisnolo che aveva durante l’infanzia (“Twigs”). La sua corporatura, unita a un’altezza di soli 167cm, al taglio di capelli corto e sbarazzino, ai grandi occhi con lunghe ciglia finte (lei stessa ha detto: “Back then I was layering three pairs of false eyelashes over my own and would paint extra 'twigs' on my skin underneath”) e al suo look androgino, andò a ridefinire completamente il concetto di modella. Twiggy si ispirò a Jean Shrimpton, della quale fu considerata anche erede. Nel corso della sua carriera, Lesley Hornby fu nominata “the Face of 1966”, lanciò una sua linea di abbigliamento, ottenne le copertine di molte delle più importanti riviste del settore (tra cui Vogue e The Tatler), lavorò con celebri fotografi, divenne personaggio e vero e proprio fenomeno mediatico. Dopo la fine della sua carriera da modella, Twiggy ha avuto modo di lavorare anche come attrice, sia su un palco che sul grande schermo. Inoltre, dal 2005 al 2007, ha ricoperto il ruolo di giudice nel famoso reality America’s Next Top Model, condotto da Tyra Banks.


VERUSCHKA
Foto di Richard Avedon, 1967.

Veruschka von Lehndorff, all’anagrafe Vera Gottliebe Anna Gräfin von Lehndorff-Steinort, è nata il 14 Marzo 1939 nell’attuale Kaliningrad (Russia) ed è stata una popolare modella, attrice, cantante e artista durante gli anni ’60. Quando aveva solo 5 anni, suo padre venne incarcerato e giustiziato per aver preso parte ad un complotto contro Hitler. Alla fine della guerra, la sua famiglia si ritrovò senza casa e Vera fu costretta a frequentare 13 scuole diverse. All’età di 20 anni fu scoperta dal fotografo Ugo Mulas e iniziò la carriera di modella. Si trasferì a Parigi e New York per lavoro, ma non ottenne il successo sperato e si ritrasferì a Monaco. Partecipò al film Blow-Up di Michelangelo Antonioni, lavorò con Salvador Dalì e con il fotografo Peter Beard, che la portò in Kenya. Nel suo momento di massima popolarità riuscì a guadagnare anche dieci mila dollari al giorno, ma la sua carriera ebbe termine nel 1975 a seguito di una divergenza di opinioni tra lei e Grace Mirabella, editor-in-chief di Vogue. Veruschka ha dichiarato a riguardo: “She wanted me to be bourgeois, and I didn't want to be that. I didn't model for a long time after that”.


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