6.13.2012

Francesco in levitazione: tra Sciamanesimo e Cristianesimo

Una veduta della Scarzuola. Foto di Virna Gambini

Appena sotto Montegiove (Montegabbione, TR, in Umbria), seguendo l’indicazione di un cartello stradale non troppo in vista, si lascia la strada statale per proseguire su uno stretto sterrato, lungo il quale si incontrano gli esempi più tipici (ma pur sempre dotati di una bellezza mai banale) del paesaggio italiano: cipressi svettanti e alberi le cui chiome si intrecciano a creare una fresca e piacevole arcata verde, muri di cinta abbandonati e ormai diroccati, piccoli infossamenti del terreno ai lati della strada dovuti all’azione degli agenti atmosferici e leggeri vortici di quella polvere bianca immancabile nelle vie di campagna.
Durante il viaggio si intravede in lontananza la Scarzuola, una screziatura rossastra tra le diverse tonalità di verde. Ma la visione dura solo un brevissimo istante, poiché essa subito viene riassorbita dalle custodi arboree che la schermano.
Al culmine di una breve salita leggermente più ripida dei tratti precedenti, un ampio prato, lasciato crescere selvaggiamente ma addolcito da un tappeto di tenere margherite, si apre poi alla vista, segnalando il raggiungimento della destinazione.
L’antico convento è nascosto da un’austera parete muraria,  ma appena si valica la soglia della grande porta lignea, si avverte immediatamente una forte aura mistica (forse perché il primo elemento a fare la sua trionfale comparsa è proprio la chiesa) e la naturale consapevolezza di far parte di un paesaggio totalmente differente da quelli fino ad ora incontrati.

L'entrata della Scarzuola. Foto di Virna Gambini

All’interno della chiesa, si snodano quattro cappelle affrescate (dedicate a San Francesco Stimmatizzato, a San Carlo Borromeo, all’Immacolata e a San Pasquale Baylon) da cui si accede all’antico Oratorio del Nostro Serafico Padre. Infine vi si trova la Cappella dell’Altar Maggiore, in cui è contenuto uno splendido Coro cinquecentesco, dietro il quale è stato rinvenuto uno dei più antichi affreschi su San Francesco in estasi, datato attorno alla metà del XIII sec.
Superati gli edifici principali e quelli minori del convento, i giardini segreti, i sentieri ombrosi e le volte di rampicanti, si apre inaspettato uno spettacolo inedito e mozzafiato: edifici di epoche diverse fusi insieme in un’eleganza atemporale, disegni dorati e scintillanti, un verde diffuso e un grande occhio scrutatore che compongono una città magica.
La città ideale di Tomaso Buzzi, la Scarzuola: troppo piccola per essere reale, troppo grande per essere una riproduzione in miniatura. Ma di lei parlerò solo prossimamente. Chi ci interessa è ora San Francesco d'Assisi.




Una raffigurazione di San Francesco nei giardini segreti della Scarzuola. Foto di Virna Gambini

Breve biografia
Il figlio di Pietro Bernardone dei Moriconi, ricco mercante di stoffe, e della nobildonna Pica Bourlemont nacque nel 1182 circa e venne chiamato dalla madre Giovanni[1]. Il padre però, dato che al momento della nascita era in Francia per affari, provvide a cambiare il nome del piccolo non appena fece ritorno. Il nome scelto da Pietro fu quello con cui poi il figlio venne comunemente e generalmente conosciuto: Francesco.
Francesco, dotato di straordinaria cultura grazie agli studi intrapresi per volontà del padre, condusse in gioventù una vita spensierata e mondana. Inoltre, partecipò militarmente alla guerra tra Assisi e Perugia, durante la quale fu catturato e tenuto prigioniero per più di un anno. Proprio mentre era prigioniero, si ammalò gravemente e questo, insieme alla chiamata del Signore ricevuta in sogno, avrebbe indotto Francesco a cambiare radicalmente stile di vita.
Tornato ad Assisi nel 1205, infatti, egli si dedicò ad opere di carità tra i lebbrosi sul monte Subasio e si impegnò nel restauro della chiesa di San Damiano in rovina, dopo che il croci ficco ivi contenuto gli aveva ordinato di farlo.
Pietro Bernardone, adirato per i mutamenti nella personalità del figlio nonostante le sue cospicue offerte, lo diseredò; Francesco allora, nel 1206, tra lo stupore generale, si spogliò dei suoi ricchi abiti dinanzi al vescovo di Assisi, il quale era stato nominato arbitro della controversia. Dopo due anni, nel 1208, il “poverello” fece nuovamente ritorno ad Assisi ed iniziò la sua predicazione, raggruppando (o, forse, meglio dire ricevendo[2]) intorno a sé dodici seguaci che divennero i primi compagni della sua fraternitas. Costoro elessero Francesco loro superiore e scelsero la Porziuncola come loro prima sede.
Attorno al 1212, dopo aver predicato in varie regioni italiane, Francesco partì per la Terra Santa, ma un naufragio lo costrinse a tornare, e altri problemi gli impedirono di diffondere la sua opera missionaria in Spagna, dove intendeva fare proseliti tra i Mori.
Nel 1218, Francesco si fermò per un lungo soggiorno in una tenuta del Castello di Montegiove, dove si costruì una capanna utilizzando della scarza, una pianta tipica della zona che alligna non lontano dall’acqua e che ancora oggi, nelle campagne umbre, viene impiegata per impagliare sedie.
Sul posto, anni dopo (precisamente nel 1282), Nerio di Bulgaruccio dei Conti di Montegiove fece erigere una piccola chiesa con oratorio che fu denominata della “Scarzuola” e affidata ai frati Minori. Essi però ampliarono il complesso annettendovi un convento e dedicarono la chiesa alla Santissima Annunziata. Tradizione vuole, inoltre, che Francesco piantò in quello stesso luogo un cespuglio di lauro e di rose e che fece scaturire una fonte d’acqua[3].
Nel 1219 si recò in Egitto, dove predicò davanti al sultano, senza però riuscire a convertirlo, poi, l’anno seguente, intraprese un viaggio per recarsi nuovamente in Terra Santa ma un suo confratello lo raggiunse prima che potesse completare la sua impresa per avvertirlo dei gravi dissesti che stavano minacciando l’unitarietà dell’Ordine. Francesco, tornato in patria, cercò di sistemare i problemi e subito dopo, indetto un Capitolo generale, si dimise dall'incarico di Superiore, dedicandosi comunque alla stesura della Regula non bullata (definita così perché non fu “approvata” da Innocenzo III, ma probabilmente venne solo “ad probata”, ovvero approvata oralmente – se così si può dire – con la condizione che i Minori la rodassero ancora per qualche tempo, fino a che non fossero cresciuti di numero), benché non fosse poi così propenso all’istituzionalizzazione dell’Ordine.
Con buona probabilità, Francesco prese parte anche alla stesura della Regula bullata[4], che, sottoposta a papa Onorio III (successore di Innocenzo III), venne definitivamente approvata nel 1223.
Francesco, ritiratosi sul monte della Verna (in provincia di Arezzo) nel settembre 1224, dopo quaranta giorni di digiuno e sofferenza, ricevette le stimmate (ovvero i segni della crocifissione, sul cui aspetto, tuttavia, le fonti non concordano) dopo la visione di un Serafino in croce.

San Francesco riceve le stimmate, particolare dell'affresco di Giotto, Basilica superiore di San Francesco ad Assisi

Francesco venne poi portato ad Assisi, dove rimase per anni segnato dalla sofferenza fisica e da una cecità quasi totale, che non indebolì tuttavia quell'amore per Dio e per la creazione che espresse nel Cantico di frate Sole, probabilmente composto ad Assisi nel 1225. Francesco morì alla Porziuncola il 4 ottobre 1226.
Fu Frate Elia, suo successore a capo dell'Ordine, ad annunciare al mondo la presenza sul corpo di Francesco delle stigmate, la cui rivelazione provocò nella Chiesa gravi lacerazioni e scetticismi che durarono a lungo nei secoli successivi. Basti pensare che, quando Francesco fu proclamato Santo (1228) da Papa Gregorio IX (ex cardinale protettore dell’Ordine e grande amico di Francesco quando al secolo si chiamava ancora Ugolino dei Conti si Segni), la bolla di canonizzazione non ne citava la presenza.
Nel 1939 Papa Pio XII proclamò San Francesco il Patrono d'Italia.

L’affresco
L’affresco più antico contenuto presso la Scarzuola è situato nell’abside della Cappella dell’Altar Maggiore e si presenta bipartito a causa della presenza di una piccola finestra rettangolare al centro della parete. La datazione dell’opera oscilla tra il 1240 e il 1250, ovvero è generalmente riconducibile alla metà del XIII sec.
Le raffigurazioni sono gravemente danneggiate, ma, anche grazie a recenti lavori di restauro, è comunque possibile individuarne in modo sufficientemente chiaro i soggetti. Nella parte destra, compare, nella sua quasi totale interezza, la rappresentazione di San Francesco in levitazione, ovvero nell’atto estatico di sollevarsi da terra (essendo una delle prime raffigurazioni pittoriche del Santo, sono ancora assenti i tratti tipici che invece lo accompagneranno in tutta l’iconografia successiva). La parte sinistra, invece è la più danneggiata e poco rimane dell’affresco. Tuttavia affiorano un braccio ed una mano inchiodata ad una croce lignea, elementi che fanno dunque pensare ad una rappresentazione della crocifissione di Cristo.

San Francesco in levitazione, particolare dell'affresco. Foto (pessima qualità, purtroppo) di Virna Gambini

La Crocifissione (?), particolare dell'affresco. Foto di Virna Gambini

Entrambe le raffigurazioni sono inserite in cornici decorate geometricamente e presentano uno sfondo bianco, che ha fatto a lungo discutere: il bianco infatti ben si associa alla dimensione estatica di San Francesco, ma non è consono alla seconda scena. La crocifissione infatti presenta generalmente uno sfondo nero, o comunque realizzato in un colore scuro, per sottolineare la drammaticità dell’evento. F. Zeri, analizzando l’opera,  ha stabilito a riguardo che, probabilmente, lo sfondo bianco potrebbe essere stato scelto dall’artista per indicare una dimensione temporale diversa da quella “solita”, ovvero: la crocifissione di Cristo non sarebbe rappresentata nel momento in cui viene posta in essere, ma come ricordo di San Francesco, l’alter Christus.
Infine, nella parte sommitale dell’abside, quasi impossibile da individuare, vi è un TAU[5] inserito all’interno di un’esedra dorata.

Stimmate: realtà o illusione?
Le fonti narrano che Francesco, nel 1224, decise di recarsi sulla Verna in ritiro spirituale e che, giunto alle pendici del monte, operò il primo miracolo, facendosi interprete della lingua degli uccelli e comunicando con essi. Il ritiro si protrasse per circa quaranta giorni, durante i quali avvennero altri incredibili prodigi: innanzitutto, un nobile falco venne a visitare Francesco e strinse con lui amicizia; in seguito il Serafino dalle sei ali inchiodato alla croce apparve al “poverello” d’Assisi portandogli così le stimmate; ed infine, benché non tutte le fonti e gli esperti concordino su questo miracolo, Francesco levitò.
Secondo alcuni studiosi, però, questi fatti non andrebbero letti unicamente in ottica cristiana, ma andrebbero valutati istituendo un paragone con le culture sciamaniche euroasiatiche e, in particolare, con le fasi del rito di iniziazione dello sciamano.
Procediamo innanzitutto, illustrando chi è lo sciamano. Lo sciamano è colui che conosce l’origine e le leggi di una comunità; è il depositario dell’enciclopedia tribale del gruppo; è colui che sa rivolgersi alle cose chiamandole con il loro vero nome; è un medicine-man in quanto, non solo conosce le proprietà curative dei pharmaka, ma persino il suo sangue o il suo tocco hanno proprietà curative; è colui che collega il mondo umano a quello spirituale. Ma come si diventa sciamano? Il processo per acquisire questo titolo (o meglio, questo statuto ontologico) è molto complesso e, chiaramente, non accessibile a chiunque. Colui che diventerà sciamano è infatti una persona in qualche modo “segnata”, destinata a questo compito o per tradizione familiare, o per vera e propria “vocazione” (che può manifestarsi durante un sogno o in seguito ad un trauma).
Già attraverso questi pochi elementi si possono cogliere importanti paralleli con i santi cristiani: la guarigione miracolosa e la vocazione in sogno o traumatica potrebbero essere infatti analizzate come risemantizzazioni della tradizione sciamanica con la quale, dunque, si mantiene una certa continuità.
Ma, per tornare a frate Francesco, è interessante notare come la sua vocazione sia sopraggiunta proprio in sogno e dopo un trauma (essere imprigionato e malato gravemente) e come gli abitanti dei paesi che Francesco incontrava ridiscendendo dal monte sacro «s’ingegnavano di toccarlo e di baciargli le mani»[6] o gli sottoponevano casi di possessione demoniaca perché egli, con il suo tocco, li liberasse. Ciò che maggiormente richiama lo sciamanesimo, nella vita di Francesco, sono appunto gli eventi del Monte Verna.
«Dappertutto nel mondo imparare il linguaggio degli animali e, per primo quello degli uccelli, equivale a conoscere i segreti della Natura e, pertanto, ad essere capaci di profetizzare»[7]. Lo sciamano, infatti, «viene iniziato da animali che diventeranno i suoi spiriti protettori»[8] o animali totemici. Non è forse un caso, quindi, che sia proprio uno degli uccelli più nobili e potenti, ovvero un falco, a recarsi da Francesco: «Durante il suo soggiorno lassù, un falco, facendo proprio lì il suo nido, gli si legò con patto di intensa amicizia»[9].
Inoltre, Francesco ricevette una visione sconcertante: «un uomo in forma di Serafino, con sei ali, librato sopra di lui, con le mani distese e i piedi uniti, confitto a una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell’apparizione il beato servo dell’Altissimo si sentì ripieno di un’ammirazione infinita»[10], e, mentre ancora non riusciva ad afferrare il senso di quel prodigio, «ecco che nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quell’uomo crocifisso»[11].
I due elementi della visione e delle stimmate andrebbero quindi ricollegati alla prima fase del rito sciamanico: la fase di «morte e dilaniamento del proprio corpo, non realizzati in senso mistico, ma come esperienza allucinatoria, nel corso del quale i fenomeni psicopatologici dello sdoppiamento e dell’autoscopia sono vissuti in un dramma reale con sofferenze fisiche (è costante, nelle relazioni, l’osservazione che lo sciamano esce dall’esperienza sporco di sangue per le ferite che, probabilmente, si è provocato nella crisi)». A questa fase però ne segue un’altra che, sempre nell’ottica di una risemantizzazione, risulterebbe strettamente legata alla levitazione e dunque anche all’interpretazione dell’affresco contenuto alla Scarzuola: la fase del “viaggio di discesa” o “viaggio di ascesa”, in cui lo sciamano prende contatto con il mondo degli spiriti e durante la quale assume grande rilevanza l’esperienza estatica della levitazione o del volo.
L’affresco della Scarzuola, dunque, ritrarrebbe nella sua parte destra il momento estatico in cui il Santo si stacca da terra e si libra, mentre in quella sinistra potrebbe non trovarsi la raffigurazione di Cristo ma, a differenza di quanto sostenuto da F. Zeri, quella del Serafino venuto a conferire le stimmate a Francesco.





[1] Celano T., Vita Secunda.
[2] Frate Francesco, Testamento.
[3] Bisogna tuttavia prendere in considerazione la possibilità che, quando Francesco arrivò alla Scarzuola, non vi trovò un luogo completamente “libero”, bensì uno spazio che era già sede di un qualche culto femminile. L’acqua è infatti ctonia.
[4] Come si nota dagli interventi in prima persona singolare all’interno del testo.
[5] Il TAU è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico. Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall'Antico Testamento, per indicare la salvezza e l'amore di Dio per gli uomini. Se ne parla nel Libro del Profeta Ezechiele, quando Dio manda il suo angelo ad imprimere sulla fronte dei servi di Dio questo seguo di salvezza. Il TAU è perciò segno esteriore di quella novità di vita cristiana interiormente segnata dal sigillo dello Spirito Santo e di redenzione. Il TAU fu adottato ben presto dai cristiani. San Francesco, proprio per la somiglianza che il TAU ha con la Croce, ebbe molto caro questo segno, tanto che esso occupò un posto di grande rilevanza nella sua vita e nei suoi gesti.
[6] Fioretti, Considerazioni sulle stimmate, 4.
[7] Eliade M., Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Edizioni Mediterranee, Roma, 1974, pag. 122-123
[8] Ibidem.
[9] San Bonaventura, Leggenda Maggiore.
[10] Da Celano T., Vita Prima, capitolo III.
[11] Ibidem.

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