La “Fiera dei Morti” di Perugia è una manifestazione
popolare nata in epoca medioevale e di cui si conservano testimonianze scritte
fin dal 1260, quando ancora il suo nome era “Fiera
di Ognissanti”. Solo a partire dal Seicento venne chiamata “dei defunti” e, nell’Ottocento, acquisì
la denominazione attuale.
Inizialmente prevedeva giochi di antica tradizione come
la caccia al toro, la corsa del’anello, attività circensi, la corsa del palio o
la quintana. Ma col passare del tempo la natura ludica andò quasi completamente
esaurendosi (tanto che oggi se ne conserva traccia solo nei “Baracconi”, ovvero nel luna park che si
installa quasi contemporaneamente alla Fiera e nell’area adiacente), lasciando
spazio ad una vena più prettamente commerciale. Man mano che il successo dell’evento
aumentava e la domanda commerciale cresceva, l’offerta pensò bene di orientare la
scelta dei prodotti verso quelli tipici regionali (non solo umbri, ma anche di
zone limitrofe come la Toscana e le Marche), rari e di provenienza non solo
locale (tanto che quest’anno sono ben sei le città gemelle: Aix en Provence, Bratislava,
Potsdam, Grand Rapids, Seattle e Tubingen).
Ancora oggi la “Fiera
dei Morti” attrae buona parte della popolazione umbra (è difficile che un
perugino non faccia almeno un salto veloce alla Fiera e non acquisti qualcosa)
perché è vista e tenuta in grande considerazione come tradizione di famiglia;
inoltre ha sviluppato una notevole rilevanza turistica, entrando a pieno di
diritto nel calendario delle grandi manifestazioni della città.
Come è chiaro da questa breve premessa, la “Fiera dei Morti” è anche per me una tradizione immancabile e
proprio stamattina ho deciso di passarci un paio di ore (piccolo consiglio:
se volete andarci, che NON vi venga in mente di farlo dalle 11 in poi! Trovare un
parcheggio a quell’ora è un’impresa talmente impossibile che neanche Tom Cruise
potrebbe farcela. Per di più, non riuscireste nemmeno a camminare tra le varie file
e traverse, ma verreste lentamente trascinati da una fiumana di persone).
Rispetto a quella dell’anno scorso (eh, lo ammetto… alla
Fiera del 2011 avevo comprato qualcosa giusto per tradizione, appunto) ho
trovato proposte molto più interessanti, colorate e accattivanti, perciò fermarsi
ai vari banchi era un piacere (per non parlare, poi, di quelli che vendevano profumatissimi
prodotti alimentari, tipici e non). Per certi aspetti, la Fiera di quest’anno mi ha ricordato
la vivacità dei mercati di fiori austriaci, le vie invernali delle città
italiane pervase dal profumo di caldarroste, le atmosfere della periferia
ungherese, i profumi di lavanda e mughetto tipici delle case delle nonne, i
colori di paesaggi fantastici e onirici un po’ alla Willy Wonka e la Fabbrica
di cioccolato, gli ambienti di montagna resi accoglienti dal calore del legno
lavorato a mano e molto altro. Insomma, una bella esperienza da vivere con le persone care e che
consiglio vivamente a chiunque non ci sia mai stato.
E, per darvi un assaggio di ciò che potreste trovare,
ecco alcuni scatti colorati e senza pretesi fatti stamattina.